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L’industria italiana della canapa respinge il divieto del governo e chiede l’intervento dell’UE

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L’industria italiana della canapa ha chiesto l’intervento della Commissione Europea (CE) dopo che il governo ha deciso di vietare la coltivazione, la produzione e la commercializzazione della canapa.

Diversi gruppi commerciali italiani specializzati in cannabis e agricoltura hanno scritto alla Commissione Europea, sostenendo che un recente emendamento alla legge sulla sicurezza del Paese potrebbe “violare la legislazione dell’Unione Europea sulla libera concorrenza e sulla circolazione delle merci”.

I gruppi hanno chiesto alla Commissione Europea di annullare l’emendamento, sostenendo che esso spazzerebbe via l’intera industria della canapa del Paese, portando alla chiusura di circa 3.000 aziende e alla perdita di 15.000 posti di lavoro nel settore.

È l’ultimo tentativo dell’amministrazione del primo ministro Giorgia Meloni di dare un giro di vite all’industria della “cannabis light”, dopo numerosi fallimenti da quando è stata eletta al potere nel 2022.

Cosa è successo

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Alla fine del mese scorso, il governo ha proposto un emendamento al disegno di legge sulla sicurezza riguardante “misure relative alle infiorescenze di canapa e ai prodotti da esse derivati”.

L’emendamento è attualmente all’esame della Camera dei Deputati, che lo studierà e ascolterà i pareri degli esperti prima di discuterlo, votarlo ed eventualmente inviarlo al Senato per il voto finale.

In quello che Federcanapa, il principale gruppo commerciale italiano della canapa, ha descritto come un “grottesco giro di vite” sull’industria, l’emendamento renderebbe di fatto illegali in Italia tutte le attività commerciali legate alla canapa industriale, anche quelle con un contenuto di THC inferiore allo 0,3%.

L’articolo 13-bis del disegno di legge sulla sicurezza, che copre una serie di questioni ben oltre la canapa, vieterebbe “l’importazione, la lavorazione, la detenzione, il trasferimento, la distribuzione, il commercio, il trasporto, la spedizione, la consegna e la vendita al pubblico per il consumo, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata”.

Questa misura non solo spazzerebbe via la fiorente industria della “cannabis light”, da tempo nel mirino del governo Meloni, ma spazzerebbe via anche l’intera filiera agricola, rendendo reato la produzione di prodotti derivati dalla canapa come cosmetici, farmaci a base di erbe e integratori alimentari.

La CIA-Agricoltori Italiani, una delle maggiori organizzazioni di categoria europee che opera a tutela del settore agricolo con oltre 900.000 iscritti, ha dichiarato che la proposta di legge rischia di far chiudere migliaia di aziende agricole “in un settore in continua espansione con tassi di crescita significativi”.

Inoltre, l’emendamento potrebbe limitare ulteriormente il settore, vietando il simbolo grafico della pianta di canapa, bloccando la pubblicità “dedicata a prodotti industriali e artigianali d’eccellenza come la bioedilizia, il tessile e la cosmesi”.

Ricorso alla Commissione Europea

In seguito alla proposta di modifica, i gruppi commerciali della cannabis, tra cui Canapa Sativa Italia (CSO) e Federcanapa, hanno scritto una lettera alla Commissione Europea esprimendo le loro preoccupazioni per le “restrizioni alla coltivazione e al commercio delle infiorescenze di canapa e dei prodotti da esse derivati”.

Nella sua denuncia, l’ITUC afferma che questa misura potrebbe violare la legislazione europea sulla libera concorrenza e la circolazione delle merci, un principio che consente ai beni legalmente prodotti e commercializzati in uno Stato membro di essere venduti liberamente in qualsiasi altro Stato membro, anche se conformi a normative nazionali leggermente diverse.

Inoltre, la ITUC sostiene che il governo italiano potrebbe aver violato le norme dell’UE non avendo consultato il Sistema di Informazione sui Regolamenti Tecnici (TRIS), un passaggio obbligatorio per i regolamenti che potrebbero avere un impatto su altri membri del mercato unico.

In una lettera separata, Federcanapa cita due recenti casi giuridici europei che costituiscono un precedente per le sue argomentazioni secondo cui il divieto italiano alla produzione di canapa viola il diritto dell’UE.

In primo luogo, cita la decisione della Francia 2023 di “riconoscere il diritto di utilizzare l’intera pianta di canapa per scopi industriali” e di concedere “licenze temporanee per il commercio di integratori alimentari a base di CBD”, nonostante i persistenti ritardi nel processo di produzione di nuovi alimenti.

“Non riusciamo a comprendere la determinazione con cui l’Italia tende a demolire un settore industriale nazionale vitale che fornisce migliaia di posti di lavoro, quando persino la Corte di Giustizia Europea e il TAR del Lazio hanno riconosciuto la piena legittimità dell’uso della pianta di canapa industriale ‘nella sua interezza’”, ha dichiarato l’organizzazione.

Nel novembre 2020, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito che il CBD non è una sostanza stupefacente, poi nel 2021 che uno Stato membro non può limitare la libera circolazione dei prodotti a base di CBD e che il CBD può essere derivato dal fiore della canapa.

Nel febbraio 2023, un tribunale italiano ha annullato un decreto “assurdamente restrittivo” in base al quale le foglie e i fiori di canapa erano considerati stupefacenti agli occhi delle autorità di regolamentazione.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha stabilito che, poiché il governo non è stato in grado di fornire alcuna prova della pericolosità della canapa industriale, il decreto doveva essere annullato.

Secondo il CSI, la Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione europea ha annunciato che esaminerà il reclamo, il che significa che effettuerà una valutazione dettagliata per determinare se le norme dell’UE sono state violate.

Se la Commissione europea ritiene che l’Italia abbia violato il diritto dell’UE, può inviare una “lettera di costituzione in mora” invitando l’Italia a rispondere entro un determinato periodo. Se la risposta dell’Italia non è soddisfacente, la Commissione può emettere un “parere motivato” e, se necessario, deferire la questione alla Corte di giustizia europea. La Corte di giustizia europea stabilirà se c’è stata una violazione e spetterà all’Italia conformarsi alla sentenza.

Oltre alle procedure a livello europeo, esistono strumenti nazionali come il ricorso al TAR per sospendere la legislazione e il ricorso alla Corte Costituzionale. È inoltre possibile ottenere una sospensione dell’esecuzione da parte dell’Europa in attesa della sentenza definitiva della Corte di giustizia europea.

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