Non è un buon momento per le imprese di”cannabis leggera” in Italia. Non molto tempo fa Matteo Salvini, il ministro dell’interno, ha annunciato che le chiuderà una ad una. Giovedì scorso una sentenza della Corte di Cassazione ha ulteriormente indebolito questa fiorente ma politicamente controversa industria.
La decisione è stata presa per risolvere un conflitto di giurisprudenza tra le sentenze emesse da due tribunali penali: una favorevole e una sfavorevole alla vendita di cannabis leggera e dei suoi derivati. In realtà, la decisione della Corte di Cassazione italiana non risolve realmente la confusione.
Una questione europea
Il commercio di canapa è regolato a livello europeo. In origine, questo commercio era limitato al commercio intra-industriale e le materie prime usate erano principalmente fibre e semi. Tuttavia, il crescente interesse per il CBD ha focalizzato l’attenzione sui fiori di canapa e ha dato vita ad un nuovo settore, quello della canapa da benessere, i cui prodotti sono venduti direttamente al consumatore.
Le direttive europee non dicono nulla sull’uso industriale o sulla commercializzazione al pubblico di fiori e prodotti derivati. Come “chi non dice niente acconsente”, gli imprenditori europei hanno sfruttato questo vuoto legale, ma la commercializzazione di questi prodotti preoccupa le autorità nazionali.
In Francia il governo ritiene che la direttiva europea che autorizza il commercio di varietà di canapa registrate nel catalogo comune delle piante agricole e con un contenuto di THC non superiore allo 0,2% si applica solo ai gambi e ai semi di canapa, non ai fiori e alle foglie (che contengono CBD). I prodotti derivati destinati al consumo quotidiano non devono contenere tracce di THC.
Finora nessun tribunale francese o europeo si è pronunciato definitivamente sulla validità di questa interpretazione francese. In particolare, la Corte di Cassazione ha sospeso la sua sentenza in attesa del verdetto della Corte di Giustizia Europea nel caso Kanavape, e numerose assoluzioni hanno minato l’interpretazione restrittiva della MILDECA. La questione rimane quindi irrisolta in Francia. D’altra parte, la Corte di Cassazione italiana ha stabilito che la commercializzazione di fiori, foglie, oli e resine deve essere considerata come traffico di droga e quindi un reato.
Il verdetto
Ilverdetto della corte dice fondamentalmente due cose:
- 1: “la commercializzazione dellaCannabis Sativa L e, in particolare, di foglie, infiorescenze, oli, resine ottenuti dalla coltivazione della suddetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito della Legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita solo l’attività di coltivazione della canapa delle varietà elencate nel catalogo comune delle specie di piante agricole ai sensi della Direttiva del Consiglio 2002/53/CE del 13 giugno 2002 e che elenca in modo esaustivo i derivati della suddetta coltivazione che possono essere commercializzati”.
- 2: “Pertanto e ai sensi dell’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, la condotta, la cessione, la vendita e, in generale, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, di prodotti derivati dalla coltivazione della Cannabis Sativa L sono un reato a meno che tali prodotti non siano effettivamente stupefacenti.
Come suggerisce il nome, la legge del 2016, altrimenti nota come “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, mira a inquadrare e sviluppare l’industria italiana della canapa. Include, nell’articolo 2, un elenco preciso di prodotti o usi che giustificano la coltivazione della canapa. L’assenza di fiori, foglie, oli e resine in questo elenco giustifica questo verdetto.
Tuttavia, i prodotti includono “prodotti alimentari e cosmetici fabbricati esclusivamente secondo le discipline dei rispettivi settori” e “prodotti semilavorati, come fibre, gamberetti, polveri, trucioli di legno, oli o combustibili, per la fornitura a industrie e attività artigianali in vari settori, inclusa l’energia”.
Una decisione discutibile
Per quanto riguarda i prodotti derivati, la Corte ha fatto una riserva che sembra riferirsi al contenuto di THC dei prodotti. Alla fine, la sentenza della Corte di Cassazione italiana assomiglia alla posizione del governo francese. Senza proibire il CBD e i prodotti di consumo derivati dalla canapa, limita la loro commercializzazione in modo indiretto. In breve, le foglie, i fiori, gli oli e le resine non possono essere venduti direttamente al pubblico e i prodotti derivati o contenenti non devono contenere THC (il che è praticamente impossibile).
Tuttavia, il verdetto non afferma che i prodotti non devono contenere alcuna traccia di THC, dice solo “a meno che questi prodotti non siano effettivamente stupefacenti”. Allo 0,2% di THC un prodotto non avrà realmente un effetto narcotico. Questa qualifica è quindi discutibile. Due avvocati che lavorano sull’argomento, Lorenzo Simonetti e Caludio Miglio, spiegano: “Ci sarà la possibilità di impugnare questa sentenza. Niente nella legge è indimostrabile. Sul tavolo c’è un accordo del valore di 80 milioni di euro.
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